Rinnovo contratti pubblici 2022-2024: nessuno stanziamento provinciale

Rinnovo contratti pubblici 2022-2024: nessuno stanziamento provinciale. La PAT conta su risorse promesse dallo Stato

Nelle recenti dichiarazioni dell’assessore al Lavoro Achille Spinelli sul protocollo del luglio scorso con il quale la giunta uscente, anche in vista d’elezioni, intendeva assumere un impegno per il rinnovo dei contratti pubblici per il triennio 2022-2024, leggiamo che “è un rinnovo ambizioso raggiunto prima di altri e sono state stanziate risorse straordinarie”. In realtà però non sono state stanziate risorse tangibili per il rinnovo, né tantomeno risorse provinciali, se non venti milioni di euro per l’erogazione dell’una tantum valida per il solo 2023, distribuite prima delle elezioni alla grande massa critica dei dipendenti pubblici nel cedolino di settembre - mentre molti dipendenti degli enti parapubblici o privati col 100% di finanziamento pubblico non l’hanno ancora ricevuto o se l’hanno ricevuto è perché l’ente l’ha anticipato – e per l’adeguamento del valore del buono pasto che, presumibilmente in primavera passerà da sei a sette euro. Come stabilito dalla legge di assestamento di bilancio di agosto, cito testualmente, “nelle more dell'adozione di ulteriori provvedimenti legislativi, la Provincia destina all'incremento delle retribuzioni del personale considerato un importo complessivo pari a 15 milioni di euro nel 2023 e a 5 milioni di euro a decorrere dal 2024"; questo è quanto.

Per la ben più sostanziosa previsione finanziaria necessaria al rinnovo dei contratti pubblici 2022-2024, circa 235 milioni di euro, siamo ancora nella sfera delle promesse, in quanto l’amministrazione ha poi fatto sapere di contare su risorse che oggi sono solo teoriche, subordinando il rinnovo al trasferimento da parte dello Stato dell’ingente somma di 438 milioni di euro che la PAT vanterebbe a titolo di credito per i gettiti arretrati relativi alle accise sui prodotti energetici ad uso riscaldamento. Una montagna di soldi che dovrebbero affluire – il condizionale è d’obbligo – nelle casse di Piazza Dante in tranche da circa cento milioni ogni anno da qui al 2027, di cui una prima da quaranta sarebbe dovuta arrivare entro fine 2023. Credo si possa dire senza timore di smentita che la PAT non ha stanziato alcuna risorsa propria delle pur abbondanti sulle quali può contare ma abbia promesso risorse che le sono state promesse a sua volta.

Un primo punto da sottolineare è che all’epoca del confronto per la firma del protocollo, in luglio, le parti sociali non erano state informate che la PAT contasse su risorse non proprie bensì su risorse promesse da Roma non ancora disponibili: ho ragion di credere che se lo fossero state, difficilmente lo avrebbero firmato – cosa che peraltro noi come CGIL e FLC CGIL del Trentino non facemmo fino a quando il Presidente Fugatti, in assestamento di bilancio, non diede ragione alle nostre pretese dichiarando che il protocollo andava inteso come un anticipo, il primo passo di un confronto per il rinnovo di un contratto da mantenere aperto e rinegoziare in funzione di possibili scostamenti tra i tassi d’inflazione programmata e quella reale su tutto il triennio, nonché di ulteriori stanziamenti di risorse da parte della Provincia. Il secondo punto di rilievo è che se davvero ci si affida a risorse che arriveranno in soluzioni da cento milioni l’anno fino al 2027, ciò significa che a fine del 2024, limite massimo che ci diamo per chiudere il rinnovo di un contratto già scaduto da due anni, se tutto andasse bene sarebbero arrivati 140 milioni a fronte di un’esigenza di 235 milioni; partendo da quest’assunto ballano già almeno 100 milioni e si sposta in là la chiusura del contratto.

Un’ultima considerazione sul buono pasto. Il protocollo ha previsto l’aumento di un solo euro dopo quindici anni di immobilismo del suo valore, anni in cui il potere d’acquisto del buono e degli stipendi è diminuito vertiginosamente, e oltretutto giunge in concomitanza con alti tassi d’inflazione e il cambio del gestore del servizio che da giugno ha introdotto una commissione a carico degli esercenti del 7,73%, prima assente, che si è riversata praticamente in automatico sui prezzi dei prodotti e servizi offerti. Questo per dire che l’aumento di un euro non incide minimamente sulla rivalutazione del potere d’acquisto del buono ma è sufficiente a malapena a coprire il costo della commissione e quindi la nostra richiesta, messa a verbale nell’accordo per l’adeguamento, è di portarlo a otto euro.


Trento, 5 gennaio 2024